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    Ilva, Strasburgo processa l’Italia:
    «Non tutelata salute di 182 cittadini» fonte google


    Lo Stato italiano formalmente sotto processo di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo: non avrebbe protetto la vita e la salute dei tarantini. A Taranto intanto il processo «ambiente svenduto» è stato aggiornato al 14 giugno per difetto di notifica

    di Michelangelo Borrillo



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    Lo Stato italiano è formalmente sotto processo di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con l’accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva. La Corte di Strasburgo ha ritenuto sufficientemente solide, in via preliminare, le prove presentate, e ha così aperto il procedimento contro lo Stato italiano.


    Tutto nasce da un ricorso collettivo

    La comunicazione, resa nota oggi, è del 27 aprile e invita l’Italia a predisporre la difesa. Nel dettaglio l’organismo di Strasburgo ha accolto e accorpato le due diverse denunce presentate rispettivamente il 29 luglio 2013 e il 21 ottobre 2015, di cui sono primi firmatari Francesco Cordella e Lina Ambrogi Melle, quest’ultima attualmente consigliera comunale a Taranto per il gruppo Ecologisti per Bonelli. La prima denuncia contro il governo è firmata da 52 cittadini di Taranto, la seconda da altri 130 cittadini, per un totale di 182 persone contro l’Italia. Nello scorso mese di febbraio la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva accettato la domanda di trattazione prioritaria del ricorso collettivo presentato da un gruppo di residenti di Taranto per denunciare la violazione, dallo Stato italiano, degli obblighi di protezione della vita e della salute in relazione all’inquinamento prodotto dall’Ilva. Nel ricorso sostengono che «lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri». Tra le doglianze sollevate figurano, in particolare, la violazione del diritto alla vita e all’integrità psico-fisica, in quanto le autorità nazionali e locali hanno omesso di predisporre un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell’Ilva. Contestata anche la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, anche in conseguenza dei ripetuti decreti “salva Ilva” con cui il governo ha mantenuto in funzione l’impianto sotto la propria gestione. La decisione odierna di comunicare i ricorsi al governo significa, con ogni probabilità, che le prove presentate dai ricorrenti contro l’operato dello Stato sono molto forti visto che solo l’anno scorso i giudici di Strasburgo hanno dichiarato inammissibile il ricorso di una donna che sosteneva l’esistenza di un nesso tra la sua malattia e le emissioni dell’Ilva.



    A Taranto slitta al 14 giugno il più grande processo ambientale

    La notizia arriva nel giorno in cui a Taranto era in calendario il processo «ambiente svenduto». Più di sei anni di indagini, 47 imputati, un migliaio di parti civili, più di 100 avvocati e un’intera città che aspetta di sapere se chi ha inquinato dal 1996 al 2013 (anni della gestione della famiglia Riva) sarà condannato insieme a chi avrebbe fatto poco o nulla per evitarlo, dai dirigenti d’azienda a politici e amministratori. Ma dopo il replay di parte dell’udienza preliminare a causa di un vizio procedurale, il processo è stato aggiornato al 14 giugno prossimo per un difetto di notifica come ha deciso la Corte di Assise di Taranto, presieduta dal giudice Michele Petrangelo, dopo una camera di consiglio di oltre tre ore. A presentare l’eccezione è stato l’avvocato Vincenzo Vozza per conto di Cesare Corti, funzionario dell’Ilva. Le notifiche erano arrivate al vecchio difensore dell’imputato, che aveva invece eletto il proprio domicilio presso Riva Fire. C’è ancora da attendere, quindi, per il più grande maxi-processo italiano in tema ambientale dopo il rinvio a giudizio disposto il 23 luglio 2015. Per «ambiente svenduto» dell’Ilva sono 44 le persone fisiche e 3 le società (Ilva spa, Riva Fire, la holding del gruppo, e Riva Forni Elettrici) alla sbarra. È lunga la lista dei reati contestati dalla Procura della Repubblica di Taranto, dall’associazione per delinquere finalizzata a vari reati, tra i quali il disastro ambientale, all’avvelenamento di acque e sostanze alimentari, al getto pericoloso di cose, all’omissione di cautele sui luoghi di lavoro. Della famiglia Riva saranno processati Nicola e Fabio, tra i politici anche l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola.


    Emiliano: «Il dl del governo ha sospeso la tutela della salute»

    Al processo di Taranto si è presentato anche il governatore pugliese Michele Emiliano per ribadire la costituzione di parte civile presentata dalla Regione Puglia. E in un certo senso si è posizionato sulla stessa lunghezza d’onda del ricorso dei cittadini tarantini: «Non vorrei parlare del futuro dell’Ilva, perché è evidente che questo compete alle autorità di governo che hanno assunto la responsabilità di questa situazione, ma bisogna sanare un’apparente incongruità: com’è possibile che un impianto continui a funzionare nonostante la magistratura accusi i precedenti gestori di reati così gravi? Tutto questo può accadere grazie ai decreti che hanno “sospeso” le possibilità di tutelare la salute dei cittadini tarantini. Per quanto tempo — ha aggiunto — potrà durare questa sospensione? È la domanda che la Regione Puglia fa qui costituendosi parte civile». «Ci sono circa mille parti civili — ha concluso Emiliano — e molte lamentano la morte di parenti a causa di questo inquinamento, della diossina e delle altre sostanze nocive che hanno assorbito semplicemente vivendo. Questo non è un processo per limitati episodi di inquinamento ambientale. È una cosa molto più grave».
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